Pianta perenne, cespugliosa, che a maturità diviene semiarbustiva, estremamente variabile nell’aspetto e gradevolmente profumata; i fusti raggiungono un’altezza 20-60 cm.
Santoreggia
Pianta erbacea annuale con forte odore aromatico, con fusti eretti di 10-30 cm, ampiamente ramificati alla base tanto da formare piccoli cespugli con numerosi rami (sottili, a sezione quadrangolare), pubescenti e di colore spesso rossastro. Radice esile.
Foglie opposte, molli, intere, lanceolato-lineari (2-4 x 10-25 mm), alla base si restringono gradualmente in un picciolo molto corto; sono rivestite, specie nella pagina inferiore, da una tomentosità fitta e ispida, con ghiandole che danno alla superficie un aspetto punteggiato.
Etimologia
etimologia incerta, forse da “séro, sátum” = io semino, seminato, o dal greco “sátyros” = satiro (in riferimento alle sue proprietà afrodisiache che le venivano attribuite) o ancora dall’arabo “s’átar” nome di molte piante. Il nome specifico deriva dal fatto che fu presto considerata un’erba da orto e da giardino e coltivata già dal IX sec. in Italia.
L’olio essenziale (sino all’1,5%) risulta ricco di carvacrolo, timolo, linalolo, carvone, borneolo; sostanze fenoliche, resine, tannini, mucillagine.
La santoreggia è utilizzata anche per le sue proprietà con azione antisettica, espettorante, carminativa, stomachica, stimolante, vermifuga, diuretica. Usata contro i disturbi gastrici, come stimolante dell’appetito e digestivo. Ha una benefica azione antielmintica e può essere usata come colluttorio antisettico.
L’olio è usato in commercio come insaporente.
In cucina le foglie essiccate si usano come condimento, si armonizza bene con le carni alla griglia, cereali, legumi, insaccati, salse e formaggi.
Viene anche usata in liquoreria e profumeria.
Curiosità
Negli orti monastici era vietato coltivare la santoreggia, perché le erano attribuite proprietà afrodisiache che risvegliavano i sensi, ed era considerata una potente erba d’amore.
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